Immigrazione: la Sardegna come Lampedusa, senza Cpt


Cinquecento euro per 160 chilometri di mare.

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Il prezzo del biglietto è caro, ma è comunque meno di quello che si deve pagare per altre tratte. Per arrivare a Lampedusa gli immigrati sborsano almeno duemila euro.

Ma viaggiano su traghetti e pescherecci, che alle organizzazioni mafiose internazionali costano, e tanto. E quando arrivano su gommoni con motori da trecento cavalli ci sono da stipendiare anche gli scafisti. I disperati che raggiungono le coste della Sardegna dall’Algeria, invece, fanno tutto da soli: comprano la barchetta, puntano la rotta seguendo i segnali del navigatore satellitare e se va bene riescono a eludere le maglie della sorveglianza della Guardia Costiera italiana. Ma se non va bene c’è sempre il Centro di permanenza temporanea di Bari, e poi la Francia.

Dall’inizio del 2007 a oggi gli sbarchi degli algerini sulle coste sud dell’isola sono stati 1396, l’anno precedente in dodici mesi si erano fermati a 115. Oltre mille uomini - i dati si riferiscono ai soli migranti recuperati in mare o identificati una volta a terra - alla ricerca di un futuro diverso rispetto a quello che li aspettava nel loro Paese. Ad Annaba, porto privilegiato di partenza, o in qualche villaggio tra Algeri e il mare.

In pochi, in Italia, si sono accorti di questo grande flusso - dapprima sporadico, poi sempre più intenso - di barchini di legno marcio che attraversavano il Canale di Sardegna, quello stretto corridoio di mare che separa le coste africane da quelle italiane. Stretto e calmo, questo corridoio: almeno in primavera e in estate. Così i barchini sono arrivati sulle spiagge invase dai turisti, davanti ai lussuosi villaggi vacanze di Santa Margherita di Pula o di Chia, nel mezzo delle ferie degli italiani benestanti. E gli immigrati sono sbarcati: molti sono riusciti a riprendere il mare da Cagliari, sui traghetti della Tirrenia. Altri invece sono stati fermati, accompagnati in città e poi rispediti in aereo alla volta di Bari, con un foglio di via in tasca regolarmente eluso.

Un mare di gente quella che è arrivata, un numero imprecisato quello di chi non ce l’ha fatta: in meno di dieci mesi la Capitaneria di porto algerina ha recuperato in mare oltre duecento cadaveri. Una strage silenziosa che si è compiuta lo scorso inverno e di cui hanno dato notizia solamente i principali quotidiani di Algeri, e di cui in Italia hanno parlato raramente le testate nazionali che hanno lasciato l’onere del racconto soltanto alla cronaca sarda. La stessa che nei giorni scorsi ha pubblicato il bilancio di un anno di attività della Capitaneria di Porto di Cagliari. “Qui in Sardegna ormai abbiamo imparato a fronteggiare la situazione - ha spiegato Giuliano Martinez, capo del reparto operativo della Guardia Costiera - l’esperienza degli anni scorsi ci ha aiutato”. Non hanno aiutato molto, invece le istituzioni locali e il Governo, che si è limitato incontrare il prefetto di Cagliari per cercare di arginare questo fiume umano che sogna un lavoro in Francia, passando per la Sardegna.

In effetti, il Governo qualcosa lo ha fatto: ha pagato il conto dell’hotel a quattro stelle sul lungomare di Quartu Sant’Elena, vicino Cagliari, che ospita i clandestini in attesa del rimpatrio. Ma il rimpatrio, appunto, passa dall’Italia, da Bari o dalla Sicilia: in Sardegna non esistono Cpt, e l’unica soluzione per far tornare a casa questi disperati è aspettare un passaggio su un volo dell’Esercito. Che non sempre arriva entro i cinque giorni previsti dalla legge.

Continuano ad arrivare, invece, gli immigrati. Proprio oggi il termometro degli sbarchi ha raggiunto la sua massima vetta. All’alba, davanti a Chia, Porto Pino, Portoscuso, Sant’Antioco e Capo Teulada, iniziano gli avvistamenti. Prima un gommone, poi una lancia da pesca, poi un’altra: il conto finale della Capitaneria è di 143 clandestini. E altrettanti ne erano sbarcati il 10 settembre scorso.