Da clandestini a cittadini regolari


È il primo caso in Italia dopo la circolare Amato che ha stabilito la nuova regola

l'espresso

È stato reso possibile dalla collaborazione tra questura, magistratura e Comune.
Cofferati: "Spero che questa felice anomalia di Bologna diventi consuetudine"
«Questa è la smentita più netta nei confronti di chi dice che non ci occupiamo dei più deboli» sibila il sindaco Sergio Cofferati nel giorno in cui viene consegnato il permesso di soggiorno «per motivi di protezione sociale» a dodici moldavi che denunciarono il loro datore di lavoro per sfruttamento di manodopera clandestina. Retoricamente, Cofferati premette che non intende polemizzare, ma l´affermazione equivale a un bel sassolino tolto dalla scarpa in questo clima di maggioranza moribonda.

L´obbiettivo è Rifondazione e la sinistra del suo schieramento, polemiche sulla campagna pro legalità del sindaco, a loro dire a senso unico verso lavavetri, immigrati e, appunto, i più deboli. Ieri, nell´aula della nuova sede dell´ufficio stranieri in via Bovi Campeggi 13, il sindaco s´è preso una piccola rivincita. I «deboli» sono lì di fronte a lui, Ion Caraisin e Chiril Ersov, 49enni moldavi che hanno avuto il coraggio di denunciare il loro sfruttatore.

Per i due e per altri dodici compagni di sventura (un paio dei quali non sono più interessati al permesso), c´è ora il foglio che li autorizza a restare in Italia e a lavorare. La strada per giungere a questo risultato è stata faticosa e lunga. Ma alla fine, per la prima volta in Italia, è passato il principio che chi viene sfruttato da clandestino, una volta denunciato il padrone, può aver diritto a un permesso che gli consenta di lavorare regolarmente. Scatta, insomma, l´applicazione dell´articolo 18 della legge sull´immigrazione che si applica alle prostitute che denunciano i loro aguzzini.

Tutto ciò è destinato a diventare un precedente nel nostro Paese auspicando che presto si trasformi nella norma. «Speriamo che questa felice anomalia di Bologna diventi consuetudine» sintetizza Cofferati. Per ottenere questo risultato c´è però voluto un anno e mezzo di lavoro nel corso del quale i quattordici moldavi, assistiti da loro avvocato, sono stati costretti ad arrangiarsi. Dopo la denuncia, infatti, venne loro accordato il beneficio dell´articolo 11 della legge Turco-Napolitano «per motivi di giustizia», ma quest´ultimo li metteva nella paradossale condizione di restare in Italia senza poter lavorare. C´è così voluto un grande lavoro da parte della questura retta da Francesco Cirillo e della Procura, in particolare del sostituto Valter Giovannini, che hanno intessuto un lungo lavoro con il ministero degli Interni nel tentativo di far passare l´applicazione del citato articolo 18 nel caso dei moldavi.

L´otto agosto scorso è arrivata la circolare del ministro Giuliano Amato che ha preso in considerazione la nuova interpretazione della legge, seguita, il 23 dello stesso mese, dalla richiesta di rilascio del permesso da parte della Procura.

Fu proprio Cofferati a invitare i lavoratori clandestini a denunciare gli sfruttatori direttamente a palazzo d´Accursio al culmine dell´ennesima polemica con l´ultrasinistra sugli sgomberi del lungoreno. «Un azzardo - ha detto ieri lo stesso sindaco col senno di poi - perché tutto poteva anche finire in niente e diventare un boomerang». Invece è andata bene e «questo può rappresentare un ottimo precedente». Per il futuro, tuttavia, «occorre che queste situazioni abbiano di fronte strade più semplici». In altre parole, non è sufficiente l´impegno felice di Comune, Prefettura e Procura oltre alla disponibilità del ministero, è necessario che il tutto assuma i connotati di un provvedimento stabile e strutturale. «È mia intenzione - insiste Cofferati - chiedere ai parlamentari bolognesi di destra e di sinistra un atto legislativo che renda il procedimento più semplice e lo si possa realizzare con minor fatica».

Dal canto loro, i due moldavi freschi di permesso, si sentono gli eroi della vicenda. «Lavoravo uno o due giorni alla settimana in un´azienda edile e non prendevo più di 30 euro» spiega Erson. «Adesso, con un lavoro regolare, spero di poter portare in Italia anche la mia famiglia».