Il futuro del sistema comune europeo dell'asilo


Intervento a Bruxelles del Capo Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione Mario Morcone

interno.it

Grazie innanzitutto agli organizzatori per avermi invitato a questo incontro sul “Futuro del sistema comune europeo dell’asilo”, e salutare tutti gli importanti relatori e colleghi presenti, con i quali cercherò di tracciare brevemente il quadro italiano e le nostre prospettive comuni.

L’Italia ha cominciato a confrontarsi solo di recente, e cioè a partire dagli anni 90, con un fenomeno migratorio dal forte impatto sociale.
Se infatti ripercorriamo nel tempo gli ultimi 20 anni di rilevazioni sul dato della presenza di immigrati in Italia, troviamo che essi erano più di 500.000 nel 1987, sono raddoppiati a 1.000.000 circa nel 1997, per poi arrivare ai 3.500.000 di quest’anno. Questo fenomeno si è dapprima caratterizzato con una massiccia pressione sulle frontiere marittime e terrestri orientali – mi riferisco in particolare agli sbarchi sulle coste pugliesi provenienti dall’Albania – con la particolarità che il nostro territorio era individuato dalle popolazioni migranti piuttosto come varco di primo accesso e di transito per raggiungere gli Stati nord-europei. La logica conseguenza è stata quella di puntare, in una prima fase, all’approntamento di risorse e strumenti miranti in primo luogo alla gestione delle situazioni di emergenze immediate e dell’accoglienza di primo soccorso, in vista soprattutto del rimpatrio dei migranti.

L’evolversi però degli eventi che hanno visto come teatro il nostro Paese e l’Europa, connessi anche ad emergenze umanitarie - non possiamo dimenticare quella della Guerra del Kosovo – ci hanno ben presto posto davanti alle nuove sfide di un flusso migratorio incessante e proveniente da più fronti. Si è avviata così una riorganizzazione generale del sistema incentrata piuttosto sulla protezione e sul riconoscimento dei diritti internazionali e della integrazione dei migranti che non su di una mera attività di accoglienza temporanea e di contrasto delle presenze irregolari sul territorio.

Ecco allora il perché della evoluzione di nuovi assetti ordinamentali, che, seppur oggetto di un confronto molto vivace nel dibattito politico italiano, hanno sempre individuato e confermato nel tempo un ruolo centrale per il Ministero dell’Interno.

Il Dipartimento per le Libertà Civili e per l’Immigrazione, che ho l’onore di dirigere, è una struttura infatti incardinata nel Ministero dell’Interno; e tra le sue competenze annovera sia l’attività di proposta ed impulso delle politiche in materia di accoglienza, di asilo e di gestione dei flussi migratori, sia l’attuazione delle predette politiche, sia la gestione delle situazioni di emergenza. In questo ampio spettro di riferimento e di responsabilità, i temi che sono alla attenzione del nostro incontro rappresentano per noi delle assolute priorità, in piena coerenza con il rinnovato approccio globale al “fenomeno immigrazione” che il nostro governo intende perseguire a livello interno ed internazionale. La nostra esperienza di “frontiera esterna”, del resto, ci consente di parlare forti di un patrimonio di conoscenze specifiche in questo settore, pur nella consapevolezza delle difficoltà di individuare risposte in grado di risolvere una volta per tutte le questioni che siamo chiamati ad affrontare, sia come singolo Paese, sia come partner di una comunità europea dagli orizzonti sempre più allargati.

LE CARATTERISTICHE DEL FENOMENO DEGLI SBARCHI

Abbiamo innanzi detto che lo Stato italiano - ed, in particolare, le sue coste meridionali, siciliane, calabresi - è stato interessato in questi ultimi anni da flussi di immigrazione di diversa natura (migranti economici, soggetti in cerca di protezione, ecc..) che hanno reso necessario mettere in piedi un sistema di accoglienza articolato in diverse tipologie di strutture a seconda del tipo di soggetti ospitati in essi o della particolarità del servizio offerto. Recentemente, peraltro, anche le coste della Sardegna sono state oggetto di ripetuti sbarchi di cittadini extracomunitari: ciò a testimonianza della continua diversificazione di quelle che noi tutti chiamiamo le “rotte della speranza”, e, nel contempo, della difficoltà, per un paese con le caratteristiche geografiche come il nostro, di strutturare un sistema logistico di accoglienza e di controllo adeguato sul territorio.
Sappiamo tutti che, in tali evenienze, priorità assoluta è sempre quella di assicurare il salvataggio della vita umana e offrire una prima assistenza, ma anche che è diritto e dovere di ogni nazione di approdo quello di compiere ogni sforzo per individuare l’identità e le motivazioni che muovono le persone migranti ad affrontare viaggi così a rischio.
E ciò per favorire la tutela dei diritti e delle protezioni umanitarie riconosciuti a livello internazionale e nazionale, ma anche della giusta pretesa del rispetto nello stato ospitante delle regole generali di ingresso e di soggiorno.
E’ questo, come vi è ben noto, lo sforzo che il nostro Paese ha dovuto porre in essere in primo luogo a Lampedusa, ma anche in altre parti della costa siciliana, dove per gran parte dell’anno continuano ad arrivare, a cadenza pressappoco giornaliera, imbarcazioni che trasportano stranieri in condizioni di alto rischio per la sicurezza, che spesso versano in condizioni di salute precarie.
Al riguardo, gli ultimi dati, risalenti agli inizi di questa settimana, si riferiscono a sbarchi di 155 unità sulla costa orientale della Sicilia, cui si aggiungono le 224 unità sbarcate a Crotone, con prevalenza di donne e bambini.
L’isola di Lampedusa in particolare, in ragione della posizione geografica che occupa nel Mar Mediterraneo, ha rappresentato e rappresenta ancora il primo avamposto italiano per l’immigrazione proveniente dalle coste del Nord-Africa e diretta verso l’Italia e verso i Paesi Europei dell’area Schengen , anche se negli ultimi tempi assistiamo al coinvolgimento significativo di altre località costiere della Sicilia (Pozzallo, Licata) e della Calabria ( Roccella Jonica, ecc.).
Su questa piccola terra di frontiera il nostro sistema di accoglienza nazionale ha dovuto subire il massimo picco della pressione migratoria negli ultimi anni, circostanza che ci ha portato a riflettere, sotto il peso delle emergenze continue, su tutte le innovazioni possibili e di sperimentare infine un metodo innovativo di intervento che, con un pizzico di orgoglio, possiamo definire un modello esemplare di efficienza e coordinamento delle componenti statali, locali e associazionistiche in esso coinvolte.

IL MODELLO LAMPEDUSA

Il Centro di Lampedusa, originariamente localizzato nei pressi dell’Aeroporto e con una capienza ricettiva di 186 posti, è stato istituito nel luglio 1998 quale Centro di permanenza temporanea ed assistenza, con funzioni di “centro di primo soccorso e smistamento” dei migranti, (sia richiedenti asilo, sia irregolari) che vi transitavano per poche ore in attesa di essere trasferiti dopo un primo accertamento sanitario e dell’identità presso altre strutture della Sicilia o del continente.
Ben presto, però, il Centro è risultato inadeguato a livello logistico e strutturale per fronteggiare, efficacemente, il numero sempre più rilevante di extracomunitari che sbarcavano sull’isola. Basti pensare alla progressione degli arrivi registrata negli ultimi 5 anni (nel 2003 sono stati pari a 8.800, per diventare 10.477 nel 2004, balzare successivamente alla cifra di 15.527 nel 2005, e pervenire ai 18.047 arrivi nel 2006, fino ai 9.563 al 13 settembre di quest’anno) per capire il senso dell’impegno sostenuto insieme alle istituzioni ed alla popolazione locale.
Ecco come è nata l’esigenza di mutare la natura e la destinazione originaria del centro per renderlo uno strumento non più deputato solo al trattenimento ed all’identificazione, in vista dell’eventuale provvedimento di espulsione o di avvio alle procedure di riconoscimento dello status di rifugiato, ma adeguato anche sotto il profilo logistico, grazie ad una nuova e più dimensionata struttura, collaudata e resa operativa dal 1° agosto 2007, in grado di ospitare 381 posti estensibili, all’occorrenza, a 743.
Questa situazione non poteva essere fronteggiata senza un deciso concorso di tutte le componenti delle istituzioni statali, locali, dell’associazionismo di settore e delle maggiori organizzazioni internazionali non governative in grado di contribuire significativamente a tutte le esigenze immediate e di prospettiva, soprattutto per tutelare e proteggere il richiedente asilo rispetto all’irregolare migrante per ragioni economiche. Accanto a misure di pronta accoglienza per tutti, già dallo scorso 2006 è stata sottoscritta una Convenzione tra la mia Amministrazione e l’OIM, l’UNHCR e la CRI per l’attivazione di un presidio fisso delle predette Organizzazioni, al fine di svolgere attività di supporto ai migranti nell’ambito delle rispettive finalità istituzionali.
Tale collaborazione è stata attivata con il noto Progetto “Praesidium – Potenziamento dell’accoglienza rispetto ai flussi migratori che interessano l’isola di Lampedusa” finanziato nell’ambito del programma comunitario Argo 2005, che si è concluso il 28 febbraio 2007.
Successivamente, in virtù degli ottimi risultati raggiunti dal modello “Lampedusa”, la Commissione Europea ha approvato, con validità dal 1 marzo 2007 al 1 marzo 2008, il nuovo progetto di collaborazione denominato “Praesidium II – Consolidamento delle capacità di accoglienza rispetto ai flussi migratori che interessano l’isola di Lampedusa e altri punti strategici di frontiera sulle coste siciliane” che estende il raggio dell’attività delle tre Organizzazioni anche ad altri Centri di accoglienza per immigrati irregolari della Sicilia, quali Trapani, Caltanissetta, Siracusa, con possibilità di intervenire sulle coste interessate da eventuali sbarchi clandestini, quali Pozzallo (SR), Licata (AG) ecc.. In base a questa iniziativa le tre Organizzazioni prestano il proprio contributo per potenziare il sistema di accoglienza dei migranti irregolari, e, nello specifico, per fornire un primo orientamento legale ai migranti, comprensivo di un supporto informativo sulla legislazione italiana in tema di immigrazione irregolare, tratta di esseri umani e riduzione in schiavitù nonché sulle procedure di ingresso regolare in Italia.
Vengono inoltre illustrate le possibilità del ritorno volontario o concordato e, nello stesso tempo, vengono individuati i gruppi vulnerabili ai fini dell’adozione di opportune iniziative di tutela. Naturalmente, sull’attività svolta viene effettuato un costante monitoraggio sul buon andamento delle procedure di accoglienza attuate nei Centri con particolare attenzione alla conformità ed al rispetto dei diritti umani dei migranti.

IL SISTEMA DI ACCOGLIENZA ITALIANO

Il mio Dipartimento ha un altro fiore all’occhiello che è costituito, proprio in relazione alla necessità di costruire percorsi di integrazione per i richiedenti asilo e riconosciuti rifugiati, dallo SPRAR (Sistema di Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati), che offre, per la elevata qualificazione raggiunta, la misura della capacità di accoglienza dimostrata dal nostro Paese, ragion per cui è possibile, anche in questo caso, parlare di “un modello italiano”.
Ed infatti, l’architettura dell’accoglienza sul territorio è stata realizzata dal Ministero mediante un sistema che, da un lato, prevede l’erogazione di contributi in favore dei progetti presentati dagli enti locali, dall’altro, con la convenzione ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) – attraverso il Servizio centrale – effettua un sistematico monitoraggio sulla presenza dei richiedenti asilo, sugli interventi realizzati e la loro efficacia e promuove altresì programmi di rimpatrio in collaborazione con l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni.
Grazie alla positiva esperienza maturata è stato possibile inoltre sviluppare percorsi di accoglienza diretti a categorie di soggetti più vulnerabili, in particolare modo i minori non accompagnati richiedenti asilo, le cui procedure di asilo sono estremamente snelle e prevedono l’immediato inserimento nei centri di accoglienza dello SPRAR.
In definitiva, nel 2006 di fronte ad una capacità ricettiva del sistema di 2.428 posti di accoglienza sono stata accolte 5.347 persone, con un aumento di quasi il 20% rispetto alla capacità ricettiva del Sistema nell’anno precedente. Un consistente incremento è previsto anche quest’anno. I beneficiari del sistema sono stati nel 2006 soprattutto titolari di protezione umanitaria (43%), seguiti da richiedenti asilo (42%) e dai rifugiati (14%). Sono stati erogati nel complesso ai beneficiari 9 tipologie di servizi per un totale di 31.988 interventi, con una media di 6 interventi per beneficiario. Complessivamente risultano accolti nei progetti del sistema beneficiari appartenenti a 75 diverse nazionalità, con una forte predominanza (67%) di origine africana: i paesi più rappresentati all’interno del sistema sono infatti Eritrea, Etiopia, Somalia e Togo.
Un cenno meritano anche i Servizi di accoglienza alle frontiere gestiti attraverso convenzioni stipulate dalla Prefetture competenti con enti ed associazioni che operano nel settore dell’immigrazione e coordinati dal mio Dipartimento, che hanno il compito di orientare e di fornire una prima assistenza ai migranti che arrivano in flussi spesso indifferenziati rispetto ai quali una opera di attento screening consente di individuare i potenziali richiedenti asilo e di agevolarne il percorso di presentazione della istanza relativa.

IL RECEPIMENTO DELLE DIRETTIVE COMUNITARIE

In questo quadro delineato in maniera sintetica si inseriscono – e questo mi consente di indicare anche le direttrici attraverso le quali l’Amministrazione dell’Interno sta operando per contribuire alla creazione di un diritto di asilo comune a livello europeo, nello spirito delle conclusioni del Consiglio europeo di Tampere - i testi normativi approntati per il recepimento delle direttive comunitarie 2004/83/CE, recante “Norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta” e 2005/85/CE concernente “Norme minime per le procedure applicate negli stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato”.
Al riguardo, il Ministero dell’Interno, in attuazione di apposite deleghe legislative, ha proceduto alla predisposizione di due schemi di decreto legislativo che saranno approvati in via definitiva dal Consiglio dei Ministri il 9 novembre p.v ed entreranno quindi in vigore nel nostro ordinamento entro il corrente anno.
E’ importante sottolineare come l’attuazione di entrambe le direttive nel nostro ordinamento comporterà l’introduzione di una disciplina sistematica e completa in materia di asilo, da intendersi riferita al riconoscimento dello status di rifugiato o di persona soggetta alla protezione sussidiaria, basata sull’applicazione della Convenzione di Ginevra come integrata dal Protocollo di New York.
I numeri che caratterizzano il quadro di riferimento del sistema asilo nel nostro ordinamento, sono: 10.000 domande circa l’anno, un tasso di riconoscimento dell’8-10% ed una percentuale del 38% di rilascio di permesso per motivi umanitari. Come noto, con l’approvazione della prima direttiva, c.d. “qualifiche”, è stato introdotto uno strumento comunitario in una materia, fino ad oggi, disciplinata esclusivamente dalla Convenzione di Ginevra del 1951, attraverso il quale assicurare criteri comuni per il riconoscimento della protezione ed un livello minimo di prestazioni negli Stati membri, attribuendo inoltre un riconoscimento normativo comune al principio del “non refoulement”.
La direttiva prevede la fattispecie della richiesta indistinta di protezione internazionale, affidando all’autorità preposta all’esame della domanda in ogni Stato la scelta di riconoscere lo status di rifugiato, se le persecuzioni addotte dal richiedente ricadono sotto le previsioni della Convenzione di Ginevra, ovvero quello connesso alla “protezione sussidiaria”, in considerazione delle gravi conseguenze del rimpatrio del richiedente, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato. Nella vigente normativa italiana non è ancora delineata la protezione sussidiaria, tuttavia a tale forma di protezione si ispira la procedura già applicata dalle sette Commissioni territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato quando, pur non ravvisando i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato ritengono pregiudizievoli le conseguenze del rimpatrio e chiedono al questore il rilascio di un permesso per motivi umanitari, in attuazione del principio di non refoulement. Per quanto riguarda i punti salienti del testo che recepisce la direttiva “qualifiche”, esso, nell’accogliere tutti i principi contenuti nella direttiva comunitaria, molti dei quali già presenti nel nostro ordinamento, sia in forma di norma scritta, sia applicati da tempo nella prassi dell’attività delle Commissioni territoriali, risolve, in senso positivo, alcuni dubbi interpretativi, quale quello legato all’attribuzione della protezione internazionale anche nelle ipotesi in cui il rischio di persecuzione ovvero di danno grave sia sorto successivamente alla partenza del richiedente dal paese di origine.
Vengono introdotti nella legislazione positiva le nozioni di responsabili della persecuzione o del danno grave, viene specificato, tra i motivi di persecuzione, il contenuto dell’appartenenza ad un “determinato gruppo sociale”, viene ribadito l’elemento fondamentale rappresentato dal carattere individuale della vicenda della persecuzione, anche con riferimento alle stesse garanzie procedimentali che devono sussistere sia nell’esame dei presupposti per il riconoscimento sia nella valutazione delle ipotesi di cessazione.
Per quanto riguarda i casi di esclusione dello status, di cui agli artt. 1D e 1F della Convenzione di Ginevra, in conformità con gli orientamenti emersi in sede di discussione della proposta di direttiva, che ricollegavano la gravità del reato alla durata della pena, si è fatto riferimento ai reati per i quali la legislazione nazionale prevede la pena della reclusione non inferiore nel minimo a quattro anni o nel massimo a dieci anni, ritenendo che i predetti limiti edittali valgano a ricomprendere tutte le ipotesi di reati connotati da particolare gravità.
Per quanto attiene invece alle cause di diniego dello status di rifugiato, tra di esse rientra anche l’ipotesi in cui il richiedente sia pericoloso per la sicurezza dello Stato ovvero per l’ordine e la sicurezza pubblica, essendo stato condannato per un reato di particolare gravità, individuato in maniera certa.
Ultimo elemento riguarda la durata dei relativi permessi di soggiorno che per il titolare dello status di rifugiato sarà di cinque anni, rinnovabile, e per il titolare della protezione sussidiaria di tre anni, rinnovabile previa verifica delle condizioni che ne hanno giustificato il rilascio; quest’ultimo consentirà l’accesso allo studio ed allo svolgimento di attività lavorativa, oltre ad essere convertibile in permesso di lavoro.
Tra le innovazioni principali introdotte dalla nuova normativa di recepimento della seconda direttiva, relativa alle procedure, deve essere citata la previsione in via generale - al fine di garantire il diritto inviolabile alla difesa sancito dall’art. 24 della Costituzione italiana, nonché l’orientamento della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo - della sospensione degli effetti della decisione impugnata a seguito del ricorso davanti al giudice ordinario, con ciò dando effettività al rimedio giurisdizionale. Altre rilevanti innovazioni rispetto al sistema attuale sono contenute nelle norme che disciplinano i casi di accoglienza e trattenimento dello straniero che ha presentato domanda di asilo. Il principio generale richiamato, già presente nel nostro ordinamento, è quello secondo il quale il richiedente non può essere trattenuto per il solo fatto di aver presentato domanda di asilo.
L’accoglienza è disposta per il tempo necessario all’esame della domanda, e comunque per un periodo non superiore a trentacinque giorni, quando il richiedente è stato fermato per aver eluso il controllo alla frontiera o subito dopo pur se destinatario di un provvedimento di espulsione o dopo essere stato fermato in condizione di soggiorno irregolare o se destinatario di un provvedimento di espulsione perché si è sottratto ai controlli di frontiera o si è trattenuto sul territorio in condizioni di soggiorno irregolare. Le modalità di permanenza nel centro sono demandate al regolamento di attuazione della legge, sulla base di previsioni contenute nella legge stessa che assegnano al richiedente comunque la facoltà di uscire dal centro nelle ore diurne e prevedono condizioni di ospitalità che garantiscano in ogni caso il rispetto della dignità della persona e l’unità del nucleo familiare.
Rimane la previsione di alcuni casi di trattenimento nei centri di permanenza temporanea ed assistenza per i richiedenti condannati per reati relativi agli stupefacenti, alla libertà sessuale, al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, o per il reclutamento di persone da destinare ad attività illecite o per il richiedente destinatario di un provvedimento di espulsione assunto in quanto persona pericolosa ai sensi della normativa vigente.
Posso affermare, in definitiva, che l’approccio che questi interventi normativi operano verso il complesso fenomeno dell’asilo è indice dell’attenzione che il Dipartimento per le Libertà civili e per l’Immigrazione, anche grazie alla particolare sensibilità del Ministro dell’Interno su tali temi, sta dedicando al “sistema asilo” nel suo complesso, attraverso la predisposizione di provvedimenti organici che ridisegneranno l’intera procedura anche alla luce delle esigenze che sono emerse in questi primi due anni dall’applicazione della nuova normativa e della necessità, di cui ho parlato in apertura, di governare il fenomeno nella sua complessità.
CENNI AL RESETTLEMENT

In finale, alcuni cenni al tema del resettlement, che dovrà rivestire in un futuro sistema comune europeo dell’asilo una rilevanza strategica.
Il Ministero dell’Interno italiano, in adesione all’indirizzo che anima le azioni comunitarie sostenute dal Fondo Europeo per i Rifugiati e dopo aver partecipato, nell’anno 2005 e 2006, ad uno studio di fattibilità denominato “FA.RE” e relativo ad un eventuale futuro programma di reinsediamento dei rifugiati sul territorio, ha ritenuto di promuovere buone pratiche includendo nelle proprie attività la sperimentazione di un primo progetto di reinsediamento di emergenza, “emergency resettlement”, destinato a persone vulnerabili.
In tale ambito il Ministro dell’Interno ha valutato positivamente la richiesta, da parte dell’UNHCR, di reinsediamento nel nostro Paese di 39 cittadini eritrei, tra cui 26 donne sole e 2 minori non accompagnati, in condizione di particolare vulnerabilità, trattenuti presso il campo di Misratah in Libia, riconosciuti rifugiati sotto mandato internazionale dell’UNHCR e bisognosi di immediata protezione.

Il mio Dipartimento ha deciso, pertanto, di attuare, in via sperimentale, un primo progetto di reinsediamento denominato “Oltremare” operando il trasferimento di tali rifugiati da uno Stato di primo ingresso ad un terzo Stato, l’Italia, che accetta di ammetterli sul proprio territorio, garantendo loro uno status, una residenza permanente e dei percorsi di protezione, accoglienza e integrazione.
Per le attività inerenti l’accoglienza e l’inserimento sul territorio italiano dei predetti rifugiati è previsto il partenariato della Provincia di Rieti e del Consiglio Italiano per i Rifugiati (CIR). Con tali soggetti sono state siglate apposite convenzioni per l’erogazione di servizi di accoglienza, di supporto psico-socio-sanitario, di sostegno nell’accesso ai servizi sul territorio, di orientamento e assistenza sociale, compresi corsi di alfabetizzazione e di lingua italiana, di servizi di mediazione socio-culturale e di interpretariato, di informazione legale, di supporto nella ricerca di opportunità lavorative, attraverso corsi di formazione professionale finalizzati all’inserimento lavorativo. Da questa mattina alle ore 8,00 i 39 cittadini eritrei, cui si aggiunge una bambina nata da pochi giorni a Tripoli, sono in Italia.

CONCLUSIONI

E’ ormai convincimento acquisito che un efficace contrasto dell’immigrazione illegale passa attraverso un ben gestita politica di ingressi legali. Un’ efficace politica di contrasto dell’immigrazione illegale non può fare a meno della realizzazione di canali ordinati di ingresso regolare che devono essere una praticabile alternativa, per gli stranieri intenzionati ad emigrare, alle reti criminali che organizzano e gestiscono il traffico di essere umani.
Dobbiamo constatare più o meno dappertutto in Europa che una politica fatta solo di contrasto ai flussi clandestini, di accordi di riammissione o di centri di detenzione non ha prodotto risultati soddisfacenti.
Questo non vuol dire che tali strumenti non servano, anzi al contrario essi sono indispensabili, ma vanno accompagnati a politiche di apertura verso i Paesi terzi offrendo loro la possibilità di ingressi legali, compatibili con la domanda di manodopera o la capacità di accoglienza e di integrazione del paese ospite. Queste aperture consentono di negoziare con i Paesi di origine quella collaborazione in tema di controllo dell’immigrazione e di riammissione indispensabile per i nostri Paesi.
Attraverso questo breve excursus dell’evoluzione del fenomeno in Italia e del dibattito attualmente in corso mi ripromettevo di trasferirvi quello che oggi è a mio avviso, un dato acquisito nella classe politica italiana e in quanti si trovano a confrontarsi con il fenomeno. Una corretta politica migratoria è come una bilancia in equilibrio. Deve prevedere un’efficace gestione degli ingressi regolari, su un piatto e un serio contrasto all’immigrazione illegale sull’altro.
Come vedete c’è lavoro per tutti: per i servizi immigrazione come per la polizia, per le associazioni di volontariato come per le autorità locali, per i diplomatici come per le organizzazioni internazionali. L’importante è riuscire a fare sistema per fronteggiare la sfida affascinante che la migrazione ci pone davanti: come sarà il futuro delle nostre società.