In Italia è permesso tutto. Ecco perché i rumeni vengono per delinquere


L'altro volto degli immigrati

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Non siamo tutti delinquenti, non è giusto che vicino alla parola rumeni ci sia sempre l’aggettivo criminali». Sociu Irinel lo dice sottovoce facendo colazione con una merendina in una mano e il caffè nell’altra. Seduta al suo fianco, la moglie gli ha preparato il pranzo da portarsi in cantiere.

Ieri alle 7 del mattino è cominciato l’ennesimo sabato di lavoro.
Sociu è felice di far conoscere la giornata tipo di un rumeno onesto, regolare: «Pago le tasse fino all’ultimo centesimo e sono orgoglioso che lo Stato italiano non avanzi nemmeno un euro». Per ritagliarsi un posto al sole, Sociu è passato per l’inferno della clandestinità e del lavoro nero «ma non mi è mai sfiorata l’idea di diventare un delinquente».

Se non fosse per il suo accento dell’Est e per i lineamenti del viso duri e squadrati da ex alpino dell’armata rumena, Sociu Irinel sarebbe il miglior spot per una campagna pubblicitaria sulla sicurezza. Ventotto anni, da otto in Italia, da due sposato con Maddalena, è un artigiano muratore con un bell’appartamento a Selvazzano, ma soprattutto dice di avere pronta la ricetta per fermare i suoi connazionali che vengono in Italia per delinquere.

Lui è l’altra faccia dell’immigrazione, quella buona, quella che in Italia è venuta con lo stesso spirito degli italiani emigrati in America. Lavorare tanto, divertirsi poco e una sola certezza: rispettare le regole. «In Romania se ti sorprendono a rubare finisci in galera per almeno due anni e non ci sono sconti per nessuno», assicura con lo scalpello in mano nel cantiere di Vigonza dove sta costruendo una casa per un commerciante di sanitari. «Qui in Italia, invece, lo sanno tutti che se commetti un reato non ti fanno nulla».

Sociu è partito da Bacau a vent’anni, dieci giorni dopo aver concluso il servizio di leva. Ha pagato 800 euro per il visto turistico sul passaporto e altri 800 a un amico che gli ha procurato il passaggio. «Mi hanno tesserato con una società di calcio giovanile di Torino, sono partito in pullman con loro, fingendomi massaggiatore - racconta - Sono fuggito, avevo un contatto nella comunità cattolica rumena, ho chiesto aiuto, poi dopo un anno sono arrivato a Padova, ho sempre lavorato per mantenermi, in nero e da clandestino fino al 2003. La mia vita è cambiata con il permesso di soggiorno».

A distanza di otto anni, con il permesso di soggiorno da quattro, sorride mentre racconta la sua storia. L’ha bevuto fino all’ultima goccia il calice amaro dello sfruttamento, del lavoro nero, del caporalato, delle minacce e dei ricatti dei datori di lavoro. Non ha mai pensato di cedere al guadagno facile, alla possibilità di saltare il fosso e diventare uno dei tanti predoni che saccheggiano bar e negozi.

«L’unica volta che ho rischiato di mettermi nei guai è stato quando il mio titolare, un impresario edile di Este, non voleva mettermi in regola. Era il settembre del 2002 e c’era la sanatoria, unico modo per uscire dalla clandestinità, per avere un futuro, per tornare a camminare per strada senza la paura di essere fermato ed espulso. Senza la sua firma niente regolarizzazione, niente casa. Gli ho detto: o firmi o ti faccio del male, sbattendo i pugni sulla scrivania». Per quattro anni Sociu ha subìto ogni tipo di sopruso, non è stato pagato, ha lavorato senza orari e senza protezioni nei cantieri, dormendo assieme ad altri 14 operai: «Il 26 settembre del 2003 ho pianto in questura con in mano il permesso di soggiorno. Mi sono sentito un uomo libero, è stato il più bel giorno della mia vita».

Figli? In Italia non se ne parla proprio, qui ci sono pochi aiuti alle famiglie. Io mio figlio non lo mando al nido ad appena un anno di vita