La consistenza numerica dei cinesi in Italia


Viaggio nella comunità cinese

Migranti-press

I dati riferiti sono quelli ufficiali, riportati anche nel “Dossier Statistico Immigrazione”: 112.358.

Tuttavia va precisato che questi sono i dati registrati dal Ministero dell’Interno ai permessi di soggiorno; non vi sono compresi se non in una minima parte gli stranieri al di sotto dei 14 anni e quanti hanno il permesso di soggiorno in corso di rinnovo.

Sommando tutti costoro si sorpassano le 130.000 unità; se poi si aggiungono 29.249 che rientrano nel decreto flussi del 2006, viene superata anche quota 150.000. Si aggiungano poi gli irregolari, non quantificabili esattamente, comunque non dovrebbero essere al di sotto di quel circa 20% che era registrato a livello nazionale per gli stranieri presi nel loro insieme.

Tutto sommato dunque ci si basa su dati obiettivi se si parla di circa 200.000 presenze cinesi in Italia. La presenza femminile col 45,9% è inferiore solo di qualche unità alla media nazionale; un po’ al di sopra è invece la percentuale dei minori che sale a oltre il 20%. A frequentare le scuole italiane sono 22.000. Comunque è una popolazione complessivamente molto giovane e proverbialmente molto laboriosa, soprattutto con grande voglia di impresa, infatti - secondo la Confederazione nazionale artigianato, le imprese cinesi in Italia erano lo scorso anno 18.205, in grande maggioranza individuali.

Da dove vengono questi figli del Sol Levante? Secondo quanto riportato dal citato giornale, “quasi tutti i cinesi italiani sono originari della provincia dello Zhejiang: 50 milioni di abitanti, piccola per dimensioni ma con un pil pro-capite superiore al resto del Paese.

In particolare l’80% degli immigrati sono originari dell’entroterra montuoso della città di Wenzhou, una metropoli di palazzi in vetro e cemento, botteghe e laboratori, un fervore produttivo da Triveneto. Il benessere nel tempo ha aumentato il costo della vita nella regione, costringendo molti a lasciare il Paese.

“E’ un’immigrazione speciale - spiega Daniele Cologna, sinologo dell’agenzia di ricerca sociale Codici - imperniata sull’idea dell’impresa. Chi parte dallo Zheyiang non cerca un lavoro dipendente, ma desidera mettersi in proprio”. Dunque una specie di emigrazione a catena, strettamente legata da vincoli di solidarietà economica, per cui è forte il sostegno reciproco nel “metter su bottega”.

Quanti i cattolici fra questi immigrati? Se facessimo la proporzione con la percentuale di cattolici presenti nell’immenso Paese, non dovrebbero essere più di un migliaio. Purtroppo fino a qualche tempo fa, non c’era chi potesse prendersi cura di loro, salvo che a Roma e qualcosa a Milano. Ma non è più così; ora anche a Napoli, Treviso, Prato c’è un giovane sacerdote a tempo pieno, attorno al quale si organizza la piccola comunità. Qualche altro sacerdote da Roma fa regolari missioni volanti a Rimini, Bologna, Empoli, Firenze e altrove, con promettenti risultati.

Un altro sacerdote, P. Pietro CUI è stato nominato Coordinatore per l’attività pastorale, compresa quella di prima evangelizzazione, su tutto il territorio nazionale; egli può contare su un gruppetto di sacerdoti cinesi ancora studenti pronti a dargli una mano anche fuori Roma; è inoltre riuscito a riempire il suo calepino di cellulari e nominativi di cattolici presenti in Italia, segnalatigli dalla Cina o da altre comunità cristiane come quella di Parigi. Sta mettendo in rete tutte queste piccole realtà, aiutato anche da un sito internet e da altre forme di pubblicità.

Piccoli gruppi di cinesi si fanno sentire da Torino, da Venezia, dalla periferia di Milano. Insomma, sembra si respiri aria di primavera o, più propriamente, sembra si rivivi tra i cinesi qualche bella pagina degli Atti degli Apostoli.