Sicilia, lo sfruttamento diventa filiera. Razzista


Quasi 200mila persone si spostano lungo l'isola per i diversi raccolti stagionali. Gli ultimi arrivati, e quindi sottoposti alle condizioni peggiori, sono i rumeni

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La favola metropolitana racconta che i rumeni, ultimi arrivati in queste terre sabbiose e lontane da tutto, ma non dal naufragio degli ultimi, si portano appresso anche le donne. La competitività sul mercato delle braccia agli occhi dei padroncini della piana di Catania o delle colline arse degli Iblei tra Ragusa e Siracusa in questo modo aumenta.

Ufficialmente, le ragazze aiutano fratelli e cugini nelle faccende di casa, o meglio mantengono perlomeno decenti le stamberghe di campagna che gli italiani affittano ai migranti, ma in realtà sembra che debbano sottostare anche prestazioni extra. Nessuno si lamenta, però. E la raccolta del pomodoro pachino, a 15-20 euro dall'alba al tramonto, arriva puntuale così come la natura comanda.

È un terzo della paga regolare, riservata invece a una piccola cerchia di lavoratori fortunati, che tra immigrati storici e italiani arrivano però a poche migliaia. Tutti gli altri si distribuiscono lungo la "filiera dello sfruttamento" che grazie a un sistema salariale assistito dallo Stato attraverso i sussidi di disoccupazione arriva a toccare quasi 200mila persone.

I rumeni occupano in questo momento, e con queste modalità di ingaggio, il gradino più basso. Ma "sopra" di loro non è che si stia proprio in paradiso. La cronaca siciliana è zeppa di storie incredibili come questa. Pochi giorni fa un gruppo di più di venti marocchini in fuga tra Messina e Palermo sono stati intercettati da una pattuglia dei carabinieri.

Da Sant'Antagata Militello erano arrivati seguendo i sentieri dei boschi fino a Cefalù. Scappavano dal datore di lavoro che per "giaciglio" gli aveva riservato un telo in mezzo a una radura sperduta. Casi di riduzione in schiavitù, di case fatiscenti, di vitto gramo e di cattiva qualità, come raccontano i sindacalisti, grazie al ricatto del permesso di soggiorno, non sono rari.

Ma anche nella moderna agricoltura industriale in cui le serre vengono gestite attraverso il computer e in cui Doc, Ipg e Marchi di Qualità distribuiti a pioggia dalla Regione Sicilia, la situazione non cambia poi così radicalmente. Certo, ci sono alcune isole felici come Mazzarrone, la patria dell'uva da tavola, ma la media è un disastro. Il "nero di Trinacria" ha davvero tante varietà. La busta paga, per esempio, in alcuni casi c'è ma non corrisponde alla somma effettiva che viene consegnata al lavoratore con il classico metodo dell'"assegno scontato".

Ci sono aziende, come la Lorenzini (che poi ha cambiato nome in Bombarda), calata dal Nord e pizzicata con un doppio regime salariale: uno applicato nelle ricche campagne padane e un altro, inferiore di un buon 20%, patteggiato con un sindacato di comodo in provincia di Chieti. Quando è il periodo della raccolta, o dell'impianto, dentro i tunnel di plastica a quasi cinquanta gradi non è permesso interrompersi, esattamente come alla catena di montaggio di Mirafiori.

A scanso di equivoci vengono contati anche i minuti passati alla toilette. Se non righi dritto, anche dopo quattordici ore di lavoro, i capetti si arrogano il diritto di mandarti a casa. Su chi è vicino alla meta dei cinquantuno giorni, grazie alla quale si può percepire un sussidio di 650 euro l'anno, ha un alto potere di ricatto. Spesso si lavora di notte, senza nessuna indennità, oppure in condizioni proibitive dal punto di vista della sicurezza. In molti casi i tunnel sono alti appena un metro e mezzo e quando vengono spruzzati i pesticidi non sai più a che santo votarti per arrivare a respirare un microgrammo di ossigeno. Ovviamente, braccia per questi lavori sporchi se ne trovano sempre. Basta andare a "piazza Bagdad" di Vittoria alle sei di mattina, o in uno dei tanti luoghi della disperazione intorno a Rosolini.

All'"Help center" di Catania altre storie orribili: un lavoratore tunisino a 18 euro a "giornata" ma a ciclo continuo con una pausa di appena 2-3 ore a notte. Spesso il lavoro è a cottimo, che sarebbe vietato: 2 euro per un chilo e mezzo di fragoline e 3 euro per un chilo di pistacchi. Racchiudere tutto questo dentro la parola "lavoro nero", quindi, è molto difficile.

Negli anni la malapianta è cresciuta e ora ha fronde grandi e nodose. La corsa al ribasso sul costo del lavoro è innescata. Il dato di fondo è impressionante. Il settore agricolo siciliano che, seppur frammentato, dovrebbe avere, secondo il sindacato, 20mila occupati a tempo indeterminato invece ne conta appena 1.500. Uno scandalo. «Eppure basterebbe - sottolinea Salvatore

Lo Balbo, segretario della Flai Cgil regionale - consultare la lista delle aziende che prendono i finanziamenti dall'Unione europea». Il sindacato fa quello che può. Certo, quello che gli permette la concertazione. Dopo dodici anni di "patti di riallineamento", però, la situazione, se possibile, è peggio di prima. Le aziende hanno intascato lo "sconto" del 30% sul costo del lavoro e sono rimaste esattamente dove erano prima. Il sindacato, che pensava in questo modo di penetrare nei luoghi di lavoro, oggi è costretto ancora a registrare licenziamenti dei propri delegati.

«Oggi la scelta dei contratti di riallineamento ha fatto il suo tempo - dichiara Paolo Aquila, segretario della Flai di Santa Croce Camerina - stiamo per inaugurare un periodo di scontro nella provincia. Gli imprenditori dicono che c'è la crisi, ma certo non dipende dal costo del lavoro». Di fronte a decine di piccole ditte che falliscono, molte grandi aziende nascono come funghi da un giorno all'altro. Altre, sempre nel giro di poco tempo, raddoppiano le loro dimensioni. Intanto, dilagano le cooperative fasulle, soprattutto negli agrumeti tra Adrano e Paternò, in provincia di Catania.

Si tratta di agenzie di intermediazione di manodopera che di fatto concorrono ad abbassare il costo del lavoro anche del 20%. E' uno degli ultimi metodi utilizzati, a fianco a quello del mancato pagamento dell'8,5% della quota destinata ai contributi previdenziali.

L'ultima vicenda del blocco dei pagamenti ha finito per dare la mazzata finale a un tessuto socio-economico che sta precipitando verso il basso per colpa dell'eccessiva frammentazione delle aziende, dell'eccessivo sfruttamento e della quasi totale mancanza di innovazione.

Per Enzo Pirosa, segretario della Flai-Cgil, «le aziende scontano anche il gap infrastrutturale e l'assenza di servizi». Intanto, solo nella provincia di Ragusa, dove peraltro manca lo sportello unico per l'immigrazione, ci sono quasi tremila migranti che aspettano il sussidio di disoccupazione per poter acquistare il biglietto e passare un paio di settimane a casa. Le sedi della Cgil in questi giorni sono piene di gente che chiede spiegazioni.