Immigrazione: prevenire e non reprimere


L’Europa invece di affrontare il problema alla base preferisce scegliere la strada della repressione in luogo di quella più lunga e complicata della prevenzione e il programma Frontex ne è la riprova

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Le immagini televisive che giungono in questi giorni nelle nostre case ci riportano continuamente al problema immigrazione che, come ogni anno di questi tempi, si ripresenta in modo drammatico non appena le condizioni del mare permettono la traversata dall’Africa verso le porte europee. Uomini, donne e bambini che fuggono in cerca di una vita migliore ma soprattutto e sempre più spesso fuggono dalla guerra e dalle violenze politiche che avvengono nei loro paesi di origine.

Ancora una volta l’Europa invece di affrontare il problema alla base preferisce scegliere la strada della repressione in luogo di quella più lunga e complicata della prevenzione e il programma Frontex ne è la riprova. Frontex è una iniziativa dell'Unione Europea finalizzata alla “gestione operativa della cooperazione alle frontiere esterne” le cui operazioni comprendono il pattugliamento congiunto delle frontiere nel Mar Mediterraneo e delle Canarie. Di Frontex ne parla diffusamente Fortress Europe, l’associazione che mensilmente denuncia quello che succede nelle acque del Mediterraneo, le vittime e le violazioni al diritto umanitario e internazionale commessi dagli Stati aderenti al progetto Frontex.

Il punto base è quello della provenienza della maggior parte dei migranti: Darfur, Ciad, Eritrea, Somalia, Kurdistan, Etiopia etc. etc. tutti paesi dove sono in corso sanguinosi conflitti o gravi violazioni dei diritti umani ma dove allo stesso tempo la comunità internazionale non interviene per arginare i fenomeni di violenza o per proporre piani di sviluppo che permettano a questa gente di poter vivere dignitosamente nella loro terra. Il risultato, scontato, è la fuga dalla guerra e dalla povertà.

Non solo, va detto che la comunità internazionale è colpevole anche di non reprimere efficacemente il commercio di esseri umani che sta dietro al fenomeno della migrazione, un commercio macchiato di sangue innocente il quale si nutre e cresce grazie alle politiche europee e che alimentano ogni tipo di attività illegali. Le pene per i trafficanti di esseri umani sono spesso inique e soprattutto non c'è una legislazione internazionale riconosciuta da tutti gli Stati. Esistono trattati ma la confusione è tanta e le interpretazioni sono all'ordine del giorno, interpretazioni che troppo spesso si confondono con gli interessi degli Stati stessi.

Occorre quindi prima di tutto studiare leggi in grado di colpire efficacemente i trafficanti di esseri umani, rivedere e aggiornare alle nuove situazioni la legge di riduzione in schiavitù e soprattutto occorre che dette leggi siano di tipo internazionale. Ma non solo, è necessario che l'Europa si attivi seriamente nella risoluzione delle crisi regionali parlando con una sola voce e passando sopra agli interessi degli Stati membri che volta per volta impediscono di attuare quella politica comune che tanto spesso si è sbandierata.

Infine, ma non meno importante, è necessario concentrarsi sullo sviluppo sostenibile delle terre di provenienza dei migranti. Trascurare questo punto fondamentale significa vedere nel futuro prossimo un progressivo spostamento di masse umane verso l'Europa seguendo una regola non scritta che vuole l'uomo migrare verso terre che garantiscano a lui e alla sua famiglia migliori condizioni di vita.

Ogni altra formula come per esempio azioni repressive, studi matematici e statistici ecc. ecc. sono inutili e servono solamente a fare alzare il prezzo ai trafficanti di esseri umani i quali non si fanno certo intimorire dal progetto Frontex ma lo usano come scusa per chiedere più denaro a questi disgraziati.

Prevenire quindi piuttosto che reprimere a occhi chiusi e stabilire chi ha diritto, secondo le leggi internazionali al riconoscimento di profugo o di chiedere asilo politico. Un paese che si dichiara civile non può più tollerare respingimenti in mare o reclusioni in centri di permanenza temporanea che ricordano più i lager piuttosto che un luogo dove persone che hanno attraversato interi continenti per sfuggire alla guerra e alle violenze possano trovare anche temporaneamente un po’ di sollievo.