Sorpresa, Liguria peggio del Nord Est


Non sono brillanti gli indici di integrazione. I pochi ricongiungimenti familiari favoriscono le "devianze"

l' espresso

I numeri dell´indagine Cnel-Caritas smentiscono i luoghi comuni: benissimo il Veneto, bene Lombardia ed Emilia. Ma da noi... Tra i fattori preoccupanti la mancata dispersione sul territorio: in centro storico una famiglia su cinque è arrivata negli ultimi anni.

Limes, "Rivista italiana di geopolitica", dedica la sua ultima monografia, da qualche settimana in edicola, all´immigrazione ("Il mondo in casa"). Tra i saggi, tutti molto interessanti, si distingue quello di Ilvo Diamanti e Natascia Porcellano sul Nord Est. La tesi è che, contrariamente a percezioni assai diffuse, in quelle regioni gli italiani convivrebbero piuttosto bene con gli immigrati. Veneto, Friuli e Trentino Alto Adige presentano percentuali di stranieri sulla popolazione residente superiori al valore nazionale che è di 4,5 al 1° gennaio 2006.

Il Veneto è la terza regione con il 6,8%, dopo Lombardia (7,0) ed Emilia Romagna (6,9) e alcune province del Nord Est superano ampiamente le percentuali delle rispettive regioni: Vicenza (8,5%), Treviso (8,5), Verona (7,3) e Pordenone (7,3). In breve il Nord Est ha ormai raggiunto livelli di immigrazione coerenti con il contesto europeo. Inoltre il tasso di nascite da genitori stranieri ha superato in Veneto il 15% e nell´insieme del Nord Est gli stranieri costituiscono il 12% della popolazione con meno di 50 anni.

Grazie anche alla forza e all´attivismo della Lega Nord, è diffusa l´idea che il Nord Est sia un´area poco ospitale, con punte di ostilità e di xenofobia. I numeri smentiscono questo luogo comune. Secondo il rapporto Cnel - Caritas del 2007, l´integrazione degli immigrati sarebbe "massima" nel Veneto e "alta" nelle altre due regioni.

La capacità di integrazione è valutata in base ad un indice che sintetizza ventuno misure diverse, dai permessi di soggiorno ai ricongiungimenti familiari, dai reati alla situazione abitativa, dall´imprenditorialità ai tassi di occupazione. Sulla base di questo indice i punteggi maggiori di integrazione spettano proprio alle regioni con la più alta presenza straniera, mentre le altre, Liguria compresa, hanno posizioni di classifica meno brillanti. Gli indici Cnel - Caritas misurano solo gli aspetti "strutturali" e non le "percezioni".

Ebbene, anche i dati di un sondaggio dell´Osservatorio del Nord Est diretto da Ilvo Diamanti, segnalano che la preoccupazione della popolazione "autoctona" è moderata, che si considerano "utili" gli stranieri, che si è disponibili a riconoscere diritti sociali e politici, che si tollerano confessioni religiose diverse. Come spiegare allora la sorpresa che viene dal Nord Est? Per Diamanti sono quattro i fattori di successo: il lavoro, la famiglia, la comunità e il policentrismo. Gli stranieri sono accettati perché lavorano e faticano come gli italiani: per questo sono riconosciuti come "cittadini". Inoltre l´alto numero di ricongiungimenti familiari è positivamente correlato a modesti indici di devianza, mentre la diffusione residenziale in molti centri piccoli e medi contrasta il formarsi di "banlieues" degradate.

E la Liguria? La nostra regione, sempre al 1° gennaio 2006, ha una percentuale di stranieri di poco superiore (4,6) al valore nazionale. La prima provincia è Imperia con un 5,6%, poi vengono Genova (4,6), Savona (4,5) e la Spezia (3,9), mentre i nati stranieri sul totale dei nati superano il 10%. La Liguria è poi l´unica regione in cui la prima comunità è quella ecuadoriana, per altro concentrata nel comune di Genova. Come nel resto del Paese, anche in Liguria la presenza straniera si è più che raddoppiata negli ultimi cinque, sei anni. A Genova tra la fine del 2000 e la fine del 2006 si passa da 16.857 a 35.255 (di cui più di un terzo ecuadoriani) e l´incidenza sui residenti sale dal 2,7% al 5,7, con punte a Pre Molo Maddalena (20,8), Sampierdarena (13,9) e Cornigliano (13,4).

Non sono brillanti gli indici sintetici di integrazione, secondo le classifiche di Cnel - Caritas. Nessuna provincia ligure si trova nelle prime venticinque con indice di "massima integrazione", mentre la Liguria nel suo insieme si deve accontentare di un dodicesimo posto, fanalino di coda delle regioni del Nord Centro Italia. Preoccupano alcuni indicatori di "stabilità sociale" che collocano la nostra regione in fondo alle classifiche nazionali.

L´indicatore di devianza (stranieri denunciati sul totale dei soggiornanti) ci vede all´ultimo posto, risultato collegato ad un altro pessimo piazzamento (16° posto) relativo all´indicatore del ricongiungimento familiare (soggiornanti per motivi familiari sul totale dei soggiornanti). Un po´ meglio va invece l´indicatore di inserimento femminile sul lavoro (13° posto).

Diversamente dalle aree forti del Paese (Nord Est, ma anche Lombardia ed Emilia Romagna), in Liguria non si è ancora stabilito un legame forte tra immigrazione e lavoro. Permangono vaste aree di occupazione irregolare e a bassa qualificazione che fanno sì che il lavoro degli stranieri non sia ancora una fonte sicura non solo di reddito ma anche di identità e di riconoscimento. Questo fenomeno e quello della bassa soglia di ricongiunzione familiare producono devianza, a livelli allarmanti in Liguria, a giudicare dalle statistiche di Cnel - Caritas. Infine non va ignorato il fenomeno della concentrazione urbana. Diversamente dal Nord Est dei molti centri medi e piccoli, l´immigrazione straniera in Liguria, già di per sé "regione di città", è fenomeno essenzialmente urbano che tende a concentrarsi nei centri storici e nelle periferie ex industriali, potenziali banlieues.

In Liguria si pongono quindi problemi di maggiore stabilità e di maggiore qualificazione del lavoro degli stranieri. Problemi di accoglienza, di favore ai ricongiungimenti familiari, di estensione dei diritti sociali e di conquista di quelli politici. Problemi di governo di situazioni di eccessiva polarizzazione con la creazione di ghetti stranieri in cui gli autoctoni potrebbero ben presto sentirsi loro stessi stranieri: la rivolta nella Chinatown milanese, da questo punto di vista, è più di un campanello d´allarme. La storia e la cultura civile della nostra regione sono le grandi risorse su cui puntare e le grandi leve su cui operare.