Unità familiare, Italia multata dall'Europa per l'espulsione di una cittadina rom
Come stabilito dalla Convenzione dei diritti dell'uomo, bisogna salvaguardare la vita privata e familiare - Con la sentenza n. 31956/05 del 4 dicembre 2012, la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo spera di aver concluso il calvario di una donna di origine rom, che era stata espulsa dall'Italia senza giustificato motivo. La ricorrente, madre di cinque figli minorenni e sposata con un titolare di permesso di soggiorno, ha infatti proposto ricorso denunciando le violazioni degli articoli 8 e 34 della Convezione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali che riguardano il "Diritto al rispetto della vita privata e familiare".
All'epoca dei fatti, la donna, cittadina della Bosnia-Erzegovina, era appena arriva in Italia e si era insidiata in un campo Rom nella capitale. Nel 1991 si sposa con un suo concittadino e dall'unione nascono cinque figli. Tutta la famiglia vive nel campo nomadi "Castel Romano", a Roma.
Nel 1996 la ricorrente ottenne un permesso di soggiorno in quanto cittadina della ex Jugoslavia per motivi straordinari di carattere umanitario. Questo permesso fu revocato il 9 ottobre 1997 per ragioni che non sono note. L'anno dopo chiede alla Questura il rilascio di un permesso ma la richiesta fu rigettata in quanto la ricorrente aveva commesso dei reati.
Nel 2002 il consolato generale della Bosnia-Erzegovina a Milano le rilasciò un passaporto valido fino al 24 settembre 2007 e nel 2005, a seguito di un controllo, il Prefetto di Teramo ne ordinò l'espulsione coattiva in quanto risiedeva irregolarmente sul territorio italiano. Proponendo ricorso al Giudice di Pace, lo stesso ha rigettato la richiesta considerando che il decreto contestato era stato emesso conformemente alla legge, constatando anche che a carico della ricorrente pendevano numerosi procedimenti penali.
"Quanto alla necessità di mantenere l'unità familiare, il giudice rilevò che il permesso di soggiorno del marito della ricorrente era scaduto nel 2004, che non era stata fornita alcuna prova della scolarizzazione dei figli della coppia né dell'inserimento sociale della famiglia e che, comunque, il diritto di mantenere l'unità familiare era riconosciuto agli stranieri titolari di un regolare permesso di soggiorno, secondo l'articolo 28 del decreto legislativo n. 286/98".
Quindi la donna ha deciso di ricorrere alla giustizia europea, mentre nel 2005 veniva trasferita definitivamente a Sarajevo. Solo nel 2011, poteva rientrare in Italia ed ottenere il così sperato permesso di soggiorno per motivi familiari, concedendo alla stessa anche un risarcimento di 15mila euro per i danni morali e 2mila euro per le spese varie.
Vedi la sentenza n. 31956/05 del 4 dicembre 2012 Corte Europea dei Diritti dell'Uomo
Venerdì, 4 Gennaio 2013 - a.p.
stefyardeleanu |
05/01/13 |
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