Protezione internazionale: il giudice deve accertare la situazione reale del Paese di provenienza del richiedente
Ai fini dell’accertamento della fondatezza di una domanda di protezione internazionale, il giudice di merito incorre in violazione di legge se fonda la sua valutazione esclusivamente sull’attendibilità o meno delle dichiarazioni rese dalla parti - Ancora una volta si afferma il principio per cui il Giudice non può respingere la domanda di protezione internazionale solo sulla base della "credibilità soggettiva" (che deve essere svolta alla stregua dei criteri stabiliti nell'art. 3, quinto comma del d.lg. n. 251 del 2007 ovvero a seguito della verifica dell'effettuazione di ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; della deduzione di un'idonea motivazione sull'assenza di riscontri oggettivi; della non contraddittorietà delle dichiarazioni rispetto alla situazione del paese; della presentazione tempestiva della domanda; dell'attendibilità intrinseca ) che si attribuisce o meno al richiedente, ma è tenuto altresì in forza dell'obbligo di cooperazione istruttoria, a verificare officiosamente la verosimiglianza delle affermazioni fatte, per esempio, accertando soprattutto la situazione reale nel Paese di provenienza.
La valutazione va effettuata non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, piuttosto dando conto del loro scrutinio e dell'acquisizione delle informazioni sul contesto socio politico del Paese di rientro che deve avvenire in correlazione con i motivi di persecuzione o di pericolo dedotti, sulla base delle fonti d'informazione indicate nell'art. 8, comma terzo del d.lg. n. 25 del 2008, ed in mancanza, o ad integrazione di esse, mediante l'acquisizione di altri canali informativi, dando conto delle ragioni della scelta.
Stesso orientamento è alla base dell'ordinanza della VI sez. civ. 24 settembre 2012 n. 16202 con cui la Corte ha cassato il respingimento della domanda di protezione di un cittadino del Togo, atteso che, per escludere la pericolosità del Paese in oggetto, i giudici del merito si erano basati su una dichiarazione presente sul sito del Ministero degli Esteri destinata ad informare turisti e cittadini stranieri che intendevano recarsi in Togo, secondo cui tale Paese era relativamente sicuro.
Lo stesso dicasi con la sentenza del 22 novembre n. 20637/2012 Corte di cassazione – Sezione VI civile, con cui accoglieva il ricorso presentato dalla difesa di un cittadino turco di etnia curda, che aveva sostenuto di essere stato bollato come vicino ai terroristi dopo un'intervista ad un quotidiano turco sulla organizzazione PKK, e da lì fatto oggetto della richiesta da parte della locale questura di un ordine di arresto alla procura. Per la Corte di appello di Milano però tali dichiarazioni non erano suffragate da indizi probatori sufficienti.
La Sesta sezione civile della Cassazione ha osservato che "ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato politico, l'omesso accoglimento dell'istanza di acquisizione dell'ordine di arresto e la mancata attivazione di una formale richiesta rivolta all'autorità competente nel paese d'origine, costituisce una palese violazione" del Dlgs 251/2007 e Dlgs 25/2008, ossia per la Suprema corte è il giudice italiano a doversi attivare per appurare le condizioni degli aderenti ai partiti filo curdi nel paese di origine sotto il profilo della libera manifestazione del dissenso politico. Costituisce un errata applicazione del principio dell'onus probandi quello che ha portato a rigettare la richiesta di protezione sulla base del fatto che il richiedente non avrebbe dimostrato la sussistenza di situazioni che impediscono l'esercizio di diritti fondamentali.
Vedi la sentenza n. 20637 del 22 novembre 2012 della Corte di Cassazione
Giovedì, 17 Gennaio 2013 - avv. MariaGrazia Stigliano