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Riconosciuto il diritto alla cittadinanza italiana per disabili intellettivi

Sentenza del Tar del Lazio - E' il caso di una persona con sindrome di Down nata in Italia da madre straniera a cui era stato negato il diritto alla cittadinanza. Il Tar Lazio con sentenza n. 5568 del 4.6.2013, annulla per difetto di istruttoria il decreto del ministero degli Interni che negava il diritto alla cittadinanza italiana a una persona con disabilità intellettiva nata in Italia da genitori stranieri. Il caso è molto interessante perché complesso. La persona interessata, infatti, aveva l’amministratore di sostegno (Ads) che ha personalmente presentato la richiesta di cittadinanza. Il Tar ha rigettato le obiezioni del ministero sulla necessità che le istanze debbano essere personalmente sottoscritte dai richiedenti. Basandosi sulla legge 6/2006 sull’amministrazione di sostegno, il Tribunale ha ritenuto che l’Ads avesse il potere di sottoscrivere per l’interessato, il quale comunque non aveva perduto la capacità di agire a differenza dell’ipotesi in cui fosse stato interdetto.

Il Tar ha affrontato nel merito il divieto posto dal ministero degli Interni alla concessione di cittadinanza italiana, secondo il quale l’impossibilità di esprimersi verbalmente costituisce impedimento alla concessione della stessa poiché la normativa prevede che l’interessato debba dimostrare di conoscere la lingua italiane ed esprimere personamente a voce il giuramento di fedeltà alla Repubblica. Sul primo aspetto il Tar si esprime così: “Ritiene il collegio che la carenza del linguaggio verbale non può essere motivo per ritenere una persona incapace di manifestare la propria volontà né per sostenere che essa non possa in altro modo dimostrare di quanto meno comprendere la lingua italiana. Infatti, la capacità della ***** di comprendere la lingua italiana, pur senza sapersi esprimere, può con le opportune cautele e gli adeguati strumenti – essere valutata, con l’ausilio di personale specializzato, ad esempio rivolgendole semplici ordini e verificando se essi vengono eseguiti, o comunque osservando le sue reazioni alle frasi che si pronunciano in lingua italiana”.

E così il Tar si esprime sul secondo aspetto: “Più arduo è invece il procedimento di accertamento della volontà della disabile di diventare cittadina italiana alla luce delle sue limitazioni espressive e cognitive. Anche in questo caso, tuttavia, prima di giungere alla conclusione della impossibilità per la disabile di manifestare una tale volontà, l’amministrazione avrebbe dovuto valutare in concreto, all’esito di un accertamento approfondito e condotto con l’ausilio di personale specializzato, se una tale impossibilità effettivamente sussista, pur non essndo stata la disabile privata giuridicamente della capacità di agire. Nel’ambito di tali accertamenti potranno, eventualmente, essere presi in esame anche elementi indiziari, quali la permanenza in Italia, la comprensione della lingua e della cultura italiana, lo stile di vita, ecc. Non risulta invece che tale istruttoria sia stata effettuata in quanto l’amministrazione – come si è detto – si è limitata al dato della impossibilità della disabile di sottoscrivere l’istanza e di esprimersi nella lingua italiana”.

La sentenza del Tar Lazio costituisce un importante precedente, non solo per le successive pronunce della Magistratura ma anche per orientare la prassi del ministero dell’Interno e delle questure.

Sentenza n. 5568 del 4 giugno 2013 Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio




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