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Lo straniero non può essere allontanato se ha acquisito il diritto di soggiorno permanente

Comunicato stampa della Corte di giustizia dell'Unione europea - Con due sentenze  del 16 gennaio 2013, la Corte di giustizia dell'Unione europea, ha stabilito che "I periodi di detenzione non possono essere presi in considerazione ai fini dell’acquisizione di un titolo di soggiorno permanente né per la concessione della protezione rafforzata contro l’allontanamento.
Analogamente, i periodi di detenzione interrompono, in linea di principio, la continuità dei periodi necessari per ottenere tali vantaggi."
La direttiva sul diritto di libera circolazione e di soggiorno  consente ai cittadini dell’Unione, senza ulteriori condizioni o formalità a parte il requisito del possesso di un documento di viaggio, di recarsi e soggiornare nel territorio di uno Stato membro diverso da quello di cui hanno la cittadinanza per un periodo massimo di tre mesi. Tuttavia, se esercitano un’attività professionale o dispongono di risorse sufficienti per provvedere alle proprie necessità nonché di un’assicurazione malattia che copra tutti i rischi (ad esempio se sono studenti o pensionati), essi possono rimanere in tale Stato membro diverso per un periodo superiore. In tal caso anche i loro familiari, siano essi cittadini dell’Unione o meno, possono restare con loro in tale Stato, a condizione che la loro presenza non costituisca un onere per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante e che dispongano di un’assicurazione malattia che copra tutti i rischi.

I cittadini dell’Unione che hanno soggiornato legalmente in via continuativa per un periodo di cinque anni nel territorio dello Stato membro ospitante acquisiscono il diritto di soggiorno permanente in tale territorio. Tale diritto non è soggetto alle condizioni necessarie per rimanere nello Stato membro ospitante per un periodo superiore a tre mesi (esercizio di un’attività professionale, prosecuzione degli studi, ecc.). I familiari di tali cittadini che non hanno la cittadinanza di uno Stato membro e che hanno soggiornato legalmente con loro in via continuativa per un periodo di cinque anni nello Stato membro ospitante acquisiscono anch’essi il diritto di soggiorno permanente.
In tale contesto, lo Stato membro ospitante non può adottare una decisione di allontanamento dal territorio nei confronti di un cittadino dell’Unione o dei suoi familiari, qualunque sia la loro cittadinanza, che abbiano acquisito un diritto di soggiorno permanente nel suo territorio, salvo che sussistano gravi motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. Analogamente, non è possibile adottare una decisione di allontanamento nei confronti di un cittadino dell’Unione che abbia soggiornato nello Stato membro ospitante nei dieci anni precedenti, salvo che tale decisione sia giustificata da ragioni imperative di pubblica sicurezza definite da tale Stato membro.

Causa C-378/12

In virtù di matrimonio con una cittadina irlandese che aveva esercitato il suo diritto di libera circolazione e di soggiorno nel Regno Unito, il cittadino nigeriano, ha ottenuto un permesso di soggiorno della validità di cinque anni in tale Stato membro. Durante il soggiorno nel Regno Unito in quanto familiare di un cittadino dell’Unione, lo straniero è stato più volte condannato dai giudici britannici per diversi reati e ha trascorso in carcere un periodo complessivo di tre anni e tre mesi.
Successivamente, lo straniero ha richiesto una carta di soggiorno permanente, sostenendo che, poiché sua moglie aveva acquisito il diritto di soggiorno permanente, anche a lui doveva essere concesso tale diritto. Egli afferma peraltro che la durata totale del suo soggiorno nel Regno Unito (compresi i periodi di detenzione) supera ampiamente la durata di cinque anni necessaria per il conferimento di tale diritto. Sottolinea inoltre che, sebbene i periodi trascorsi in carcere non siano computabili a tal fine, la durata totale dei periodi trascorsi fuori dal carcere è superiore a cinque anni.
In seguito al rigetto della sua domanda di carta di soggiorno permanente, lo straniero ha adito l’Upper Tribunal (Immigration and Asylum Chamber), London (Regno Unito). Tale giudice chiede alla Corte di giustizia se i periodi di detenzione e i periodi di durata inferiore a cinque anni precedenti e successivi alla detenzione di un richiedente possano essere presi in considerazione ai fini dell’acquisizione di un titolo di soggiorno permanente.
Nell’odierna sentenza la Corte ricorda in primo luogo che un cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione che ha esercitato il suo diritto di libera circolazione e di soggiorno, può  computare, ai fini dell’acquisizione di un diritto di soggiorno permanente, soltanto i periodi trascorsi assieme a tale cittadino. Di conseguenza, i periodi durante i quali egli non ha soggiornato assieme a tale cittadino a causa della sua detenzione nello Stato membro ospitante non possono essere presi in considerazione a tal fine.
La Corte constata peraltro che il legislatore dell’Unione ha fatto dipendere l’ottenimento del diritto di soggiorno permanente dall’integrazione dell’interessato nello Stato membro ospitante. Orbene, tale integrazione è basata non soltanto su elementi spaziali e temporali, ma anche su elementi qualitativi relativi al grado di integrazione nello Stato membro ospitante. Il fatto che il giudice nazionale abbia inflitto una pena detentiva senza sospensione dimostra il mancato rispetto, da parte dell’interessato, dei valori espressi dalla società dello Stato membro ospitante nel diritto penale di quest’ultimo. Pertanto, prendere in considerazione i periodi di detenzione ai fini dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente sarebbe manifestamente in contrasto con l’obiettivo perseguito dalla direttiva con la creazione di tale diritto di soggiorno.
Infine, per le stesse ragioni, la Corte dichiara che la continuità del soggiorno di cinque anni è interrotta dai periodi di detenzione nello Stato membro ospitante. Di conseguenza, i periodi precedenti e successivi ai periodi di detenzione non possono essere sommati per raggiungere il periodo minimo di cinque anni necessario per ottenere un titolo di soggiorno permanente.

Causa C-400/12

La sig. G. è una cittadina portoghese che soggiorna dal 1998 nel Regno Unito, dove ha acquisito il diritto di soggiorno permanente nel 2003. Nel 2009 è stata condannata dai giudici britannici a 21 mesi di carcere per maltrattamenti nei confronti di uno dei figli. Inoltre, nel periodo in cui si trovava in carcere, le autorità britanniche hanno disposto la sua espulsione dal territorio del Regno Unito per ragioni di ordine pubblico e di pubblica sicurezza.
La sig. G. ha impugnato la decisione di espulsione dinanzi ai giudici britannici, sostenendo che, avendo soggiornato per più di dieci anni nel Regno Unito, doveva beneficiare del livello di protezione più elevato che il diritto dell’Unione riserva ai cittadini europei in materia di allontanamento. L’Upper Tribunal (Immigration and Asylum Chamber), London, chiamato a dirimere la controversia, chiede alla Corte se, nonostante la detenzione, la sig. G. possa beneficiare di tale protezione rafforzata contro l’allontanamento.
Nella sua sentenza odierna, la Corte constata in primo luogo che, contrariamente al periodo richiesto per l’acquisizione del diritto di soggiorno permanente, che inizia con il soggiorno legale della persona interessata nello Stato membro ospitante, il periodo di soggiorno di dieci anni richiesto per la concessione della protezione rafforzata contro l’allontanamento dev’essere calcolato a ritroso, a partire dalla data della decisione di allontanamento di tale persona. La Corte rileva inoltre che tale periodo di soggiorno dev’essere, in linea di principio, continuativo.
In secondo luogo, per quanto concerne il rapporto tra l’integrazione di una persona nella società dello Stato membro ospitante e la sua detenzione, la Corte dichiara che, per le stesse ragioni avanzate nella sentenza C-378/12, i periodi di detenzione non possono essere presi in considerazione ai fini del calcolo del periodo di soggiorno di dieci anni.
Infine, la Corte constata che i periodi di detenzione interrompono, di massima, la continuità del soggiorno necessaria per la concessione della protezione rafforzata. La Corte ricorda tuttavia che, al fine di stabilire entro quali limiti la discontinuità del soggiorno impedisca all’interessato di beneficiare della protezione rafforzata, occorre procedere ad una valutazione complessiva della sua situazione. In occasione di tale valutazione complessiva, richiesta per stabilire se i legami d’integrazione tra l’interessato e lo Stato membro ospitante siano stati interrotti, le autorità nazionali possono tenere conto degli aspetti pertinenti della sua detenzione. Allo stesso modo, nell’ambito di tale valutazione complessiva, le autorità nazionali possono prendere in considerazione la circostanza che la persona interessata, come la sig. G., abbia soggiornato nello Stato membro ospitante durante i dieci anni precedenti la sua detenzione.

IMPORTANTE:
Il rinvio pregiudiziale consente ai giudici degli Stati membri, nell'ambito di una controversia della quale sono investiti, di interpellare la Corte in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione o alla validità di un atto dell’Unione. La Corte non risolve la controversia nazionale. Spetta al giudice nazionale risolvere la causa conformemente alla decisione della Corte. Tale decisione vincola egualmente gli altri giudici nazionali ai quali venga sottoposto un problema simile.

Documento non ufficiale ad uso degli organi d'informazione che non impegna la Corte di giustizia.

Sentenza n. C‑378/12 del 16 gennaio 2014 Corte di Giustizia UE

Sentenza n. C‑400/12 del 16 gennaio 2014 Corte di Giustizia UE



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Lunedì, 20 Gennaio 2014 - http://curia.europa.eu


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