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Direttiva rimpatri osta a qualsiasi normativa di uno Stato membro che reprime il soggiorno irregolare con la reclusione

Comunicato stampa della Corte di giustizia dell’Unione europea - La direttiva sul rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare («direttiva rimpatri») stabilisce norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri ai fini dell’allontanamento dal loro territorio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.
La direttiva prevede che una decisione di rimpatrio debba essere adottata nei confronti di qualunque cittadino di un paese non UE il cui soggiorno è irregolare. Da tale decisione, in linea di principio, inizia a decorrere un periodo per il rimpatrio volontario seguito, se necessario, da misure di allontanamento forzato.
In assenza di partenza volontaria, la direttiva obbliga gli Stati membri a procedere all’allontanamento forzato mediante misure il meno possibile coercitive. Solo quando l’allontanamento rischia di essere compromesso, lo Stato membro può ricorrere al trattenimento dell’interessato, per una durata che non può in nessun caso superare i 18 mesi.

Il  diritto francese prevede che i cittadini di paesi non UE possano essere puniti con un anno di reclusione se hanno fatto ingresso irregolare nel territorio francese. Inoltre, in Francia, una persona indiziata di un reato, anche se tentato, punito con la reclusione, può essere privata temporaneamente della sua  libertà al fine di essere mantenuta a disposizione degli inquirenti («fermo di polizia»).

Nella sentenza, la Corte richiama anzitutto la sua giurisprudenza Achughbabian, sulla quale verte specificamente la domanda della Cour de cassation. Secondo tale giurisprudenza, la «direttiva rimpatri» osta a qualsiasi normativa di uno Stato membro che reprime il soggiorno irregolare mediante la reclusione di un cittadino di un paese non UE nei confronti del quale non sia stata ancora conclusa la procedura di rimpatrio prevista da tale direttiva. In base a questa medesima giurisprudenza, detta direttiva consente tuttavia la reclusione di un tale cittadino nel caso in cui egli sia stato previamente sottoposto a tale procedura e continui a soggiornare in modo irregolare nel territorio dello Stato membro senza giustificato motivo. Inoltre, la direttiva non osta neppure a un trattenimento amministrativo finalizzato ad acclarare se il soggiorno di un cittadino di un paese non UE sia regolare o meno.

La Corte constata poi che l’ingresso irregolare costituisce una delle circostanze di fatto che può determinare il soggiorno irregolare ai sensi della «direttiva rimpatri». La direttiva è dunque applicabile a un cittadino di un paese non UE il quale, al pari della cittadina streaniera, abbia fatto irregolare ingresso nel territorio di uno Stato membro e debba conseguentemente considerarsi in situazione di irregolare soggiorno. Di conseguenza, un tale cittadino deve essere assoggettato alla procedura di rimpatrio prevista dalla direttiva al fine del suo allontanamento e ciò fintantoché il soggiorno non sia stato, eventualmente, regolarizzato.

La Corte rileva, inoltre, che le deroghe previste dalla direttiva non consentono agli Stati membri di sottrarre un cittadino extra UE, come la sig.ra ghanese, all’ambito di applicazione della direttiva a motivo del fatto che egli ha attraversato in modo irregolare una frontiera interna dello spazio Schengen (nel caso di specie, la frontiera franco-belga) o che è stato fermato mentre tentava di lasciare tale spazio (il Regno Unito, infatti, non fa parte dello spazio Schengen).

Peraltro, il fatto che la straniera sia stata sottoposta a una procedura di riammissione nello Stato membro da cui proveniva (Belgio) non rende la direttiva inapplicabile al suo caso. Infatti, la riammissione ha semplicemente l’effetto di trasferire l’obbligo di applicare la procedura di rimpatrio allo Stato membro che deve riprendere il cittadino (nel caso di specie, il Belgio). La reclusione di un cittadino di un paese non UE, il cui soggiorno è irregolare, ritarderebbe l’avvio di tale procedura e il suo effettivo allontanamento e pregiudicherebbe quindi l’effetto utile della direttiva.

Infine, la situazione di mero transito della sig.ra non osta all’applicazione della direttiva: in effetti, un cittadino di un paese non UE che si trovi a bordo di un autobus senza soddisfare le condizioni d’ingresso è senz’altro presente nel territorio dello Stato membro interessato (nel caso di specie, la Francia) e si trova pertanto in situazione di «soggiorno irregolare» ai sensi della direttiva, la quale non prevede alcuna condizione di durata minima della presenza o di intenzione di restare in tale territorio.
Dal momento che la direttiva era applicabile alla sig.ra, quest’ultima non poteva essere reclusa per il solo motivo del suo ingresso irregolare nel territorio francese prima di essere stata sottoposta alla procedura di rimpatrio. Orbene, le autorità francesi non avevano neppure avviato tale procedura.

Sentenza immigrazione europea Sentenza n. C‑47/15 del 7 giugno 2016 Corte di Giustizia UE


fonte: curia.europa.eu


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Martedì, 14 Giugno 2016 - curia.europa.eu


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