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Uno Stato membro conserva il potere discrezionale di consentire il soggiorno ad una persona per motivi umanitari

Comunicato stampa n. 110/17 Corte di giustizia UE - Una direttiva dell’Unione stabilisce le norme minime riguardanti «la protezione sussidiaria» al fine di completare la protezione internazionale sancita dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati. La protezione sussidiaria è riconosciuta a tutti coloro che non beneficiano dello status di rifugiato, ma che sono esposti nel loro paese d’origine a una minaccia grave come la condanna a morte, la tortura, le pene e i trattamenti inumani o degradanti. I beneficiari della protezione sussidiaria ricevono un permesso di soggiorno di durata limitata. Per quanto riguarda i cittadini extra UE che non beneficiano della protezione sussidiaria, uno Stato membro può autorizzarli a soggiornare nel suo territorio su base discrezionale per motivi caritatevoli o umanitari, fermo restando che tali cittadini non rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva.

Nello specifico, il cittadino dello Sri Lanka, è giunto nel Regno Unito nel gennaio del 2005 come studente. Nel 2009 ha presentato domanda di asilo (includendovi, se del caso, una domanda di protezione sussidiaria). In tale domanda ha dichiarato di essere stato membro dell’organizzazione delle «Tigri per la liberazione della patria Tamil» (LTTE), di essere stato arrestato e torturato dalle forze di sicurezza dello Sri Lanka e di rischiare di subire nuovamente maltrattamenti in caso di ritorno in Sri Lanka. Le autorità del Regno Unito hanno respinto la domanda dello straniero, con la motivazione che non era dimostrato che egli sarebbe stato nuovamente minacciato in caso di ritorno nel suo Paese di origine.

Lo straniero ha impugnato tale decisione dinanzi all’Upper Tribunal (Tribunale superiore, Regno Unito) producendo prove mediche sui postumi delle torture che egli aveva subito in Sri Lanka e sulla sindrome da stress post-traumatico e da depressione da cui era affetto. L’Upper Tribunal ha parzialmente respinto il ricorso dello straniero in quanto non era stato dimostrato che egli fosse ancora minacciato nel suo Paese di origine. Tuttavia, tale giudice ha accolto il ricorso dello straniero nella parte in cui esso era fondato sulle disposizioni della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU): l’Upper Tribunal ha infatti considerato che, in caso di ritorno in Sri Lanka, l'istante non avrebbe potuto beneficiare di cure adeguate al trattamento della sua patologia psicologica.

Adita in appello, la Supreme Court of the United Kingdom (Corte suprema del Regno Unito) chiede alla Corte di giustizia se un cittadino extra UE, che presenta i postumi di torture inflitte nel suo Paese di origine ma che non rischia più di subirvi tali trattamenti in caso di ritorno, possa beneficiare della protezione sussidiaria, per il motivo che le sue patologie psicologiche non potranno essere adeguatamente trattate dal sistema sanitario di tale Paese.

Nelle conclusioni, l’avvocato generale Yves Bot considera, in primo luogo, che i termini della direttiva consentono di riconoscere la protezione sussidiaria soltanto in caso di rischio di danni gravi derivanti da torture o da trattamenti inumani che potrebbero essere inflitti in futuro a un richiedente in caso di suo ritorno nel Paese di origine.

Tale interpretazione implica, nel caso di specie, che lo straniero non possa rivendicare il beneficio della protezione sussidiaria, poiché è pacifico che non rischia più di subire torture in caso di ritorno in Sri Lanka, anche se, a causa delle carenze del sistema sanitario di tale Paese, egli non potrà probabilmente beneficiare dei trattamenti necessari per curare la sindrome da stress post-traumatico da cui è affetto e rischia di tentare il suicidio in caso di ritorno nel suo Paese di origine.

L’avvocato generale ricorda, peraltro, che uno dei criteri essenziali per il riconoscimento della protezione sussidiaria è la responsabilità diretta o indiretta, ma sempre intenzionale, delle autorità pubbliche del Paese di origine nella commissione di un danno grave. In una situazione come quella in esame, il rischio di deterioramento dello stato di salute del richiedente semplicemente a causa dell’assenza di terapie adeguate nel suo Paese di origine (senza che ricorra una privazione intenzionale di cure) non è sufficiente a giustificare il riconoscimento del beneficio della protezione sussidiaria, anche qualora la patologia da cui è affetto il richiedente derivi da torture subite in passato nel suo Paese di origine.

In secondo luogo, l’avvocato generale ritiene che, ove la Corte proceda a una lettura delle disposizioni della direttiva in combinato disposto con la CEDU, ciò non impedisca agli Stati membri di escludere dall'ambito di applicazione della protezione sussidiaria le persone che soffrono dei postumi di torture subite in passato, ma che non rischiano più di vedersi infliggere tali trattamenti in caso di ritorno nel loro Paese di origine.

Secondo l’avvocato generale, l’interpretazione della direttiva alla luce della CEDU può consentire il riconoscimento del beneficio della protezione sussidiaria soltanto in casi del tutto eccezionali, nei quali non sembra però rientrare il caso dello straniero. Quest’ultima valutazione spetta tuttavia alla Supreme Court.

L’avvocato generale ritiene che una lettura di tale direttiva in combinato disposto con le disposizioni della CEDU che consenta a chiunque abbia subito maltrattamenti in passato di beneficiare del diritto alla protezione sussidiaria amplierebbe notevolmente gli obblighi degli Stati membri in materia di protezione sussidiaria. Una siffatta interpretazione andrebbe ben oltre l’intenzione del legislatore dell’Unione nell’adottare la direttiva.

comunicato stampa

Sentenza immigrazione europea Conclusioni dell'Avvocato Generale C‑353/16 del 24 ottobre 2017 Corte Giustizia UE



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