La prova della presenza in Italia dei cittadini stranieri
Nell'ultimo triennio, non poche pronunce dei giudici di Palazzo Spada si occupano della (dimostrazione della) presenza in Italia,
ai sensi dell'art. 3, c. 1, del DPCM 16 ottobre 1998, Integrazione al decreto interministeriale 24 dicembre 1997 recante programmazione dei
flussi di ingresso per l'anno 1998 di cittadini stranieri non comunitari. La lett. a) dello stesso comma prevedeva l'allegazione -
alla domanda di rilascio del permesso di soggiorno - di "idonea documentazione circa l'effettiva presenza in Italia prima del 27 marzo 1998".
Si sono individuati, anzitutto, due principi: da un lato, poiché "la "ratio" della disciplina di sanatoria è quella di regolarizzare le
posizioni di lavoro subordinato prese in considerazione alla lett. b) dell' art. 3 del D.P.C.M. 16.10.1998, nonché quelle di lavoro autonomo
di cui al successivo art. 4, e non presenze saltuarie ed occasionali disgiunte dalle esigenze lavorative innanzi richiamate …a fronte di
una disciplina che deroga alle regole ordinarie per l' ingresso e la permanenza in Italia, la stessa si configura di stretta interpretazione e
non può quindi trovare applicazione estensiva ad ipotesi non specificatamente previste dalla norma, né tantomeno la mancata presenza nel
territorio nazionale può trarre giustificazione in ragioni di forza maggiore identificate dall'istante in motivi di salute ed alla necessità
di sottoporsi a cure nel Paese di origine" (Cons. di Stato, VI, 21 maggio 2007, n. 2535), dall'altro, che "spetta al cittadino extracomunitario
che intenda avvalersi della c.d. sanatoria prevista dal D.P.C.M. 16 ottobre 1998 l'onere di provare (producendo idonea documentazione) il
requisito della presenza in Italia anteriormente al 27.3.1998; ove tale prova risulti mancante, il permesso di soggiorno può essere
legittimamente negato, senza che Amministrazione abbia l'onere di attivarsi per accertare d'ufficio l'esistenza nel caso concreto dei
requisiti richiesti dalla legge per la regolarizzazione" (Cons. di Stato, VI, 17 aprile 2007, n. 1742).
Sotto il profilo - squisitamente - temporale, il giudice - amministrativo - di appello, rimarca come la prova della presenza in Italia
in epoca di molto antecedente alla data del 27 marzo 1998 non sia idonea a soddisfare il precetto normativo; anche in disparte quanto
precisato dalla circolare del Ministero dell'Interno 30 ottobre 2008, n. 74 (coloro che potranno "dimostrare di essere stati presenti
in Italia in una data molto antecedente a quella del 27 marzo 1998, dovranno altresì dimostrare la continuità di tale presenza sino
alla predetta data"), secondo il Collegio appariva conforme alla ratio legis "evitare che anche soggetti venuti nel territorio
italiano in epoca di molto antecedente la data del 27 marzo 1998, e magari solo per un brevissimo periodo, potessero beneficiare della sanatoria"
(nello specifico, lo straniero aveva documentato la propria presenza in Italia nel 1996, mediante la richiesta ed il ritiro del codice fiscale)
(Cons. di Stato, VI, 22 giugno 2006, n. 3830).
Nel dettaglio, sono stati considerati idonei a dimostrare la presenza in Italia alla data predetta:
a)"la ricevuta fiscale del tipo Buffetti, recante l'intestazione dell'albergo, il numero, il codice e la data di rilascio,
il numero della camera occupata, il dato identificativo del cliente e l'importo pagato", ancorché l'Amministrazione non sia riuscita a
verificare "l'attendibilità" della ricevuta "in quanto l'esercizio commerciale risulta chiuso", non potendosi negare -alla ricevuta de qua -
una valenza probatoria "in assenza di una prova certa che confermi il sospetto che il dato attestato non risponda al vero" (Cons. di Stato, VI, 16 maggio 2006, n. 2737);
b)l'originale di una corrispondenza indirizzata allo straniero presso un recapito in Italia (tra l'altro, allo stesso recapito indicato, poi,
nella dichiarazione di soggiorno), recante il timbro di arrivo delle Poste Italiane in data 26 luglio 1997, trattandosi "di atto di data certa
formato anteriormente al 27 marzo 1998, meritevole, quanto meno, di una verifica da parte dell'Autorità amministrativa, in quanto idoneo a fornire,
nei limiti delle possibilità dell'interessato (che, in quanto, all'epoca, in posizione irregolare aveva certamente difficoltà a procurarsi
documentazione esaustiva), un consistente indizio circa il soddisfacimento del requisito prescritto … a nulla rilevando la sua tardiva esibizione,
in presenza di una istanza tempestivamente presentata" (Cons. di Stato, VI, 12 febbraio 2007, n. 538).
Di contro, non è sta riconosciuta analoga valenza:
a)alla dichiarazione del responsabile della Comunità di (asserita) accoglienza, attestante l'ospitalità presso quella struttura nel periodo
prescritto, qualora detta dichiarazione sia stata disconosciuta dallo stesso responsabile, ancorché il procedimento penale per uso di atto falso,
di cui all'art. 489 c.p., si sia concluso con l'archiviazione, (solo) per intervenuta prescrizione (Cons. di Stato, VI, 17 maggio 2006, n. 2839);
b)a "semplici fotografie (agevolmente ritoccabili, com'è notorio) prive di obiettivi riscontri (presenza di una fotografia dell'interessato
recante la data 19 febbraio 1995 nell'angolo inferiore destro sul lato dell'immagine, come inconfutabile prova della sua presenza in
Italia prima del 19 novembre 1995)" (Cons. di Stato, VI, 15 aprile 2007, n. 1527);
c) ad un "biglietto di viaggio mai usato per venire in Italia" (Cons. di Stato, VI, 17 aprile 2007, n. 1742);
d)alla "copia di una busta indirizzata al ricorrente o preventivo di assicurazione, anch'esso privo di data certa"
(Cons. di Stato, VI, 3 maggio 2007, n. 1939);
e)alla "mera fotocopia di una asserita attestazione di emissione di vaglia postale internazionale, priva di riferimento di protocollo o
timbro identificativo dell'agenzia postale", se non "accompagnata da altra idonea documentazione con datazione inconfutabile precedente
il 27.3.1998" (Cons. di Stato, VI, 22 giugno 2007, n. 3449, lasciando trasparire, tuttavia, che la valutazione sarebbe stata favorevole
in presenza di una "copia di vaglia telegrafico recante timbro postale con la stampigliatura della data").
Nell'ambito dei documenti probatori, una valutazione approfondita - ma talvolta discordante - è stata riservata alle dichiarazioni dei privati. Secondo i giudici di Palazzo Spada, "in assenza di una prescrizione normativa in ordine alle modalità probatorie della presenza in Italia dello straniero alla data presa in considerazione dalla legge per conseguire la regolarizzazione richiesta, deve ritenersi idoneo qualsiasi mezzo che possa garantire un obbiettivo accertamento dei fatti, e non soltanto un atto o dichiarazione proveniente da organismi pubblici"; in tale contesto, "la Circolare del Ministero dell'Interno n. 70 del 30.10.1998 (attuativa del D.P.C.M. 16.10.1998), laddove descrive le tipologie di documenti ritenute attendibili e probanti dalla Amministrazione (relativamente alla presenza in Italia dello straniero), assume un valore solo esemplificativo, e non esclude che anche dichiarazioni provenienti da soggetti privati possano validamente comprovare la presenza in Italia dello straniero, ove siano suscettibili di un riscontro oggettivo" [Cons. di Stato, IV, 28 agosto 2006, n. 5002; analogamente Cons. di Stato, VI, 14 febbraio 2007, n. 613, rilevando che "qualunque documento attendibile per provenienza e contenuti avrebbe potuto fornire la prova della presenza dell'interessato entro i confini del territorio nazionale prima del 27 marzo 1998, dovendosi presumere (fino a prova contraria …) che pure le scritture private possano essere ritenute idonee a provare una situazione od un accadimento, poiché l'ordinamento non presume mai il raggiro o la frode, ma piuttosto la legittimità dei comportamenti umani (salva, naturalmente, la citata prova contraria …)" ; come pure Cons. di Stato, VI, 24 giugno 2006, n. 4058, secondo cui la mera circostanza che la documentazione prodotta "provenga dalle mani di privati cittadini non la rende automaticamente inattendibile, in assenza di un'esplicita previsione di legge, dovendosi valutare in concreto i singoli casi"]. Sulla base di queste premesse, si è affermato che la dichiarazione del medico attestante l'avvenuta sottoposizione a visita medica dello straniero unitamente alla dichiarazione dell'amministratore del condominio, attestante il soggiorno dello stesso straniero, "non possono essere escluse aprioristicamente come mezzi di prova", sul solo rilievo della loro provenienza privata, "dovendo piuttosto l'Amministrazione verificarne la effettiva attendibilità attraverso una propria autonoma indagine" (Cons. di Stato, IV, 28 agosto 2006, n. 5002). Ma non è stata reputata idonea la dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà: ad avviso del giudice amministrativo, la dichiarazione de qua non è "riconducibile nella nozione di documento recepita dal D.P.C.M. 16 ottobre 1998"; trattandosi "di elemento probatorio di carattere testimoniale che viene formato secondo le modalità e con le responsabilità stabilite dall' art. 4 della legge n. 15/1968 … non può essere assimilato alla prova documentale cui l'art. 3 del D.P.C.M. predetto fa riferimento" [Cons. di Stato, VI, 4 giugno 2007, n. 2942; nella stessa direzione Cons. di Stato, VI, 27 giugno 2006, n. 4095, che ha negato rilevanza alle (nello specifico: due) dichiarazioni di privati, non accompagnate da ulteriori supporti documentali (nel caso deciso, peraltro, il decreto di revoca del permesso di soggiorno, impugnato in primo grado, era stato emesso per l'accertata falsità dei presupposti sulla cui base era stato rilasciato il permesso di soggiorno)].
di Rober Panozzo - autore di saggi in materia di cittadinanza, anagrafe della popolazione e diritto di famiglia
18/08/2008